LA CORTE D'APPELLO Nella causa RG n. 749/07 promossa da Poste Italiane S.p.A., contro Manciaracina Rosamaria, sciogliendo la riserva, ha emesso la seguente ordinanza. Il Tribunale di Monza, con sentenza n. 253/06, appellata da Poste italiane S.p.A., ha accolto la domanda di Rosa Maria Manciaracina che, premesso di essere stata assunta dalla societa' con contratto a tempo determinato dal 14 gennaio 2003 al 31 marzo 2003, aveva lamentato la illegittimita' del termine per genericita' della causale apposta al contratto ed aveva chiesto che venisse accertata e dichiarata la nullita' della relativa clausola, con la conseguente condanna di Poste S.p.A. alla reintegrazione ex art. 18 o in subordine alla riammissione in servizio ed al pagamento delle retribuzioni maturate dall'atto di messa in mora. Il tribunale ha ritenuto che in base alle stesse deduzioni ed eccezioni svolte dalla parte convenuta nella memoria di costituzione, dove si era eccepito che la lavoratrice aveva lavorato sostituendo anche due dipendenti distaccate temporaneamente in altro ufficio, la societa' avesse in concreto utilizzato la Manciaracina per una causale diversa da quella contenuta nel contratto di lavoro, che conteneva la seguente formulazione : «ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale inquadrato nell'area operativa ed addetto al servizio recapito, smistamento e trasporto presso il polo corrispondenza Lombardia, assente con diritto alla conservazione del posto nel periodo dal ... al». Il primo giudice ha quindi accertato la nullita' del termine e la natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro, accogliendo altresi' la domanda, svolta in subordine, di condanna alla riammissione in servizio ed al pagamento delle retribuzioni maturate. Nell'atto di appello Poste Italiane S.p.A. ha lamentato la erroneita' della decisione in quanto la clausola apposta al contratto sarebbe rispettosa del dettato legislativo che, all'art. 1 del d.lgs. n. 368/2001, richiederebbe soltanto la sussistenza di una ragione sostitutiva di personale assunto stabilmente. L'appellata Manciaracina ha chiesto respingersi l'appello confermandosi il giudizio di illegittimita' del termine ed ha poi, in via preliminare, chiesto di rimettere alla Corte costituzionale la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 21, comma 1-bis del d.l. n. 112/2008, convertito in legge n. 113/2008, nella parte in cui, ha inserito nel d.lgs. n. 368/72001 l'art. 4-bis, per violazione degli artt. 3 e 4, 24, 35, 11 e 117 della Costituzione nella parte in cui prevede, come conseguenza sanzionatoria della nullita' del termine apposto al contratto, il solo risarcimento danni. Tale norma infatti stabilisce: «Art. 4-bis. (Disposizione transitoria concernente l'indennizzo per la violazione delle norme in materia di apposizione e di proroga del termine). "Con riferimento ai soli giudizi in corso alla data di entrata in vigore della presente disposizione, e fatte salve le sentenze passate in giudicato, in caso di violazione delle disposizione di cui agli articoli 1, 2 e 4 il datore di lavoro e' tenuto unicamente a indennizzare il prestatore con una indennita' di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di sei mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'art. 8 della legge 15 luglio 1966 n. 604 e successive modificazioni"». Cio' premesso, la Corte, rilevato che il giudizio di illegittimita' espresso dal primo giudice va confermato, dovendosi ritenere che nel caso di specie vi sia stata violazione dell'art. 1 del d.lgs. n. 368/2001 e che conseguentemente il termine apposto al contratto sia illegittimo, poiche' la causale indicata si riferisce a sostituzione di personale «assente con diritto alla conservazione del posto», mentre nel caso in esame la lavoratrice risulta aver sostituito personale non assente, ma distaccato in altro ufficio, rilevato quindi che la questione di costituzionalita' della norma di cui al citato art. 21, comma 1 risulta rilevante nel presente giudizio, che era in corso al momento della entrata in vigore della legge n. 133/2008 e che quindi la sentenza appellata dovrebbe essere riformata in punto di condanna alla riammissione in servizio O s s e r v a A) Quanto alla violazione dell'art. 3 Cost. Non puo' disconoscersi la natura di norma sostanziale di cui al combinato disposto dell'art. 21, legge n. 133/1998 e 4-bis, d.lgs. n. 368/2001, perche' con tale norma si detta una nuova disciplina per i contratti di lavoro a tempo determinato che, prevedendo solo un mero indennizzo, regola le conseguenze sanzionatorie della violazione degli artt. 1, 2 e 4 del citato d.lgs. Tale disposizione, incidendo sui diritti dei lavoratori lesi, vede ancorata la sua efficacia al fatto meramente processuale della pendenza del giudizio instaurato dal lavoratore, senza che vi sia stata sentenza passata in giudicato, determinando conseguentemente un trattamento complessivamente ed ingiustificatamemente differente per persone che si trovano nella stessa identica situazione, in violazione del dettato costituzionale di cui all'art. 3. Ed infatti lavoratori che, nello stesso periodo di tempo, ed anche simultaneamente, hanno stipulato contratti di lavoro a temine affetti dalla stessa identica violazione degli artt. 1, 2 o 4 del d.lgs. n. 368 del 2001, sono destinati ad ottenere, in base all'art. 21, comma 1-bis della legge n. 133 del 2008, un trattamento completamente diverso, a seconda solo dell'essere stati, entro i termini di legge, piu' o meno tempestivi nella proposizione dell'azione giurisdizionale: chi avesse gia' proposto l'azione ed avesse il «giudizio in corso», alla data di entrata in vigore del citato l'art. 21 comma 1-bis, avrebbe diritto soltanto al modesto indennizzo ivi previsto, mentre chi avesse proposto l'azione giurisdizionale successivamente continuerebbe ad essere garantito da una piena tutela, con il riconoscimento, se del caso, del rapporto di lavoro a tempo indeterminato e con la riammissione in servizio, con applicazione dell'art.1419 c.c. relativamente alla nullita' parziale della sola clausola del termine. Pur in presenza di contratti di lavoro a termine stipulati nella stessa data, la norma determina quindi il paradosso di addebitare al lavoratore che con piu' tempestivita' ha proposto l'azione giurisdizionale un trattamento piu' sfavorevole rispetto a colui che avesse ritardato a presentare ricorso, depositandolo successivamente alla entrata in vigore della novella del 2008. Anche la clausola di salvezza per le sentenze passate in giudicato, in questo quadro, conferma la irragionevolezza della disparita' di trattamento, stigmatizzando la casualita' ed arbitrarieta' del criterio distintivo utilizzato nella individuazione dei destinatari della norma oggetto di critica, perche' in concreto i soli lavoratori che abbiano la sfortuna di avere il «giudizio in corso» alla data di entrata in vigore della legge n. 133 del 2008, ricevono un trattamento deteriore e discriminatorio rispetto a tutti gli altri i quali si trovino nella stessa identica situazione di fatto ed abbiano subito, anche nello stesso momento, la stessa identica lesione dei diritti che continuano ad essere assicurati dagli artt. 1, 2 o 4 del d.lgs. n. 368 del 2001. La diversita' di trattamento non trova peraltro giustificazione alcuna, ne' in una natura transitoria della normativa, che in concreto non sussiste, ne' in una finalita' diretta a regolare una situazione di «assoluta eccezionalita», quale quella richiamata dalla Corte costituzionale, nella sent. 9-13 ottobre 2000 n. 419, in riferimento al «processo di privatizzazione (...) per la gestione in forma di societa' per azioni del servizio postale». Non puo' dunque ravvisarsi alcuna ragionevolezza, come invece si ebbe con l'intervento legislativo n. 608/1996 di cui alla citata sentenza, teso ad escludere retroattivamente che «le assunzioni di personale con contratto di lavoro a tempo determinato effettuate dall'ente Poste Italiane, a decorrere dalla data della sua costituzione e comunque non oltre il 30 giugno 1997» potessero «dar luogo a rapporti di lavoro a tempo indeterminato». Non puo' invero non evidenziarsi come in tal caso il legislatore si era riferito ad un mutamento, sia pur retroattivo, della disciplina sostanziale del rapporto a tempo determinato, in relazione ad un arco temporale preciso, anziche' riferirsi comprensivamente ed arbitrariamente ai «giudizi in corso», ma soprattutto non va dimenticato che nel caso in esame la nuova normativa incide non solo nel settore del servizio postale, ma in maniera del tutto indifferenziata su tutti i contratti e rapporti di lavoro di qualsiasi settore economico: di qui l'assenza di qualsiasi intento della nuova disciplina di far fronte a specifica e circoscritta situazione di «assoluta eccezionalita». 2) Quanto alla violazione dell'art. 24 Cost. Il legislatore nel prevedere un regime sanzionatorio di natura risarcitoria nei casi di violazione degli artt. 1, 2 e 4 del d.lgs. n. 368, destinato a valere solo per i giudizi in corso ha dettato una disciplina che non si pone su di un piano astratto delle fonti normative determinando una indiretta incidenza su tutti i giudizi, presenti e futuri «senza far venir meno la potestas iudicandi, bensi' semplicemente ridefinendo il modello di decisione cui l'esercizio di detta potesta' deve attenersi», ma ha fatto si' che la legge assumesse contenuto meramente «provvedimentale», vincolando «il giudice ad assumere una determinata decisione in specifiche ed individuate controversie» e limitando poi il diritto del lavoratore ad una piena difesa in giudizio delle proprie ragioni, sancito dall'art.24 Cost., in termini di certezza e pienezza di difesa. Effettivita' della tutela giurisdizionale che viene maggiormente messa in discussione proprio dall'ulteriore disposizione, contenuta nel comma 4 del citato art. 21, legge n. 133/2008, che prevede una possibile «ulteriore vigenza» della norma in esame, rimessa alla valutazione del Parlamento, in base alla verifica da compiersi «decorsi 24 mesi dalla data di entrata in vigore», da parte del Ministro del lavoro, delle politiche sociali e della salute e le O.O.S. datoriali e dei lavoratori. Ed infatti, anche i lavoratori che alla data odierna potrebbero aspirare ad una tutela piena, per aver iniziato il giudizio dopo l'entrata in vigore del decreto-legge n. 112 /2008, poi convertito, si potrebbero vedere successivamente degradare tale loro tutela, con la applicazione della sola indennita' risarcitoria, qualora il legislatore decidesse per la proroga della vigenza della normativa in esame. In siffatto contesto appare fondatamente violato il principio costituzionale di cui all'art. 24, nella sua ampia accezione relativa alla effettivita' del diritto di ciascun cittadino di agire in giudizio sulla base di regole certe ed idonee a garantire detta effettivita'. 3) Quanto alla violazione dell'art.117 Costituzione, in relazione all'art. 6 della CEDU. Ad avviso di questa Corte la disposizione in esame viola anche l'art. 117 della Costituzione che, imponendo al legislatore italiano il rispetto dei vincoli derivanti «dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali», esige il rispetto di quelle norme internazionali che sono contenute in atti normativi internazionali quali quelle della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (la Corte costituzionale, nelle sentenze nn. 348 e 349 del 2007, si e' soffermata sulla valenza delle norme nel sistema delle fonti, stabilendo che la legislazione italiana incompatibile con le norme CEDU viola norme interposte rispetto all'art. 117, primo comma Cost.: si opera, in tal caso un rinvio «mobile» alle norme convenzionali, che determina una «etero-integrazione» di tale parametro di costituzionalita'). L'art. 6 della Convenzione, sancendo che ogni persona «ha diritto a che la sua causa sia esaminata imparzialmente, pubblicamente ed in tempo ragionevole, da parte di un tribunale imparziale ed indipendente», impone anche al legislatore nazionale di emanare norme sostanziali e processuali che non compromettano l'esito del giudizio gia' instaurato, influendo sulla definizione del giudizio medesimo. Il carattere «provvedimentale» della normativa in esame, cosi' come prima ricordato, lede tale diritto fondamentale. Non ritiene, per contro, la Corte che, in relazione alla specifica fattispecie esaminata che si riferisce ad un unico contratto a termine stipulato tra le parti, sia fondata la questione di incostituzionalita' con riferimento all'art. l17 ed alla clausola 8 punto 3 della Direttiva 1999/70 CE, relativa al rispetto del principio di non regresso contenuto in detta clausola. Ed invero deve condividersi l'assunto della parte appellante nel presente giudizio secondo cui, poiche' tale principio deve essere applicato solo con riguardo al campo di applicazione della direttiva, secondo quanto affermato dalla Corte di giustizia delle Comunita' europee in svariate sentenze, non ultime la Mangold (22 novembre 2005), citata in alcune ordinanze di rimessione alla Corte da parte di altri giudici di merito in fattispecie analoghe, nel caso di specie «la materia trattata dalla direttiva» non includeva anche la regolamentazione delle conseguenze sanzionatorie in caso di illegittimita' del termine correlata alla violazione delle ragioni giustificatrici dell'apposizione della clausola al contratto di lavoro. Ed infatti l'obiettivo dell'accordo quadro, recepito dalla direttiva, e' stato individuato: a) nel miglioramento della qualita' di lavoro e nella garanzia del rispetto del principio di non discriminazione, b) nella creazione di un quadro normativo diretto a prevenire gli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro. E' dunque correlato a questo specifico ambito il divieto, per il legislatore nazionale, di ridurre il livello generale di tutela esistente. L'aspetto sanzionatorio infatti e' stato regolato, nell'ambito del d.lgs. n. 368/2001 solo con riferimento ai casi di violazione delle prescrizione in tema di successione dei contratti (art. 5) e di divieto di discriminazione (artt. 6 e 12), rimanendo quindi il legislatore libero di modificare anche in peius - come e' poi avvenuto - la precedente disciplina del contratto a termine contenuta nella legge n. 230/1962.